domenica 14 giugno 2015

Ci conosciamo?

La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.

Nella vita capita di essere rifiutati. Fa parte del gioco. Magari ci stai male inizialmente, ma dopo un po’ ti passa.
Però bisogna andarci piano con questo genere di cose, sennò si rischia di ritirarsi con il proprio ego notevolmente rimpicciolito.
 

“Ci conosciamo?”



Mi ritrovai in un locale messicano dal proprietario di dubbie origini. Ero a parlare con i miei amici delle solite porcate che noi maschi pensiamo quando siamo riuniti a bere, e della giornata del campionato finita male per tutte le squadre a cui teniamo. Ordinai una birra che non avevo mai preso prima. Quando lo faccio, di solito non mi piace mai e mi pento della mia scelta. Difficilmente voglio provare qualcosa di “nuovo”, ma quando raramente mi capita, mi piace sul serio essermi lasciato andare liberandomi delle mie costrizioni. Non era quella la serata giusta. 



<<Perché hai rotto con la tua ragazza?>> sentii discutere al tavolo di fianco. <<Sai, era diventato tutto abitudine>> fu la risposta a quella complicata e invadente domanda. Ho sentito spesso usare questa espressione quando due troncano una relazione. Come se si volessero celare i veri motivi e le cause che hanno portato a tutto ciò. Per come la vedo io, è un alibi come un altro per rompere con qualcuno senza troppo complicazioni. Ma la mia scarsa empatia (forse per le mie limitate capacità di comprensione) mi porta a definire la maggior parte delle cose stupide e banali. Più piccole di quello che in realtà siano.



Quella sera ero particolarmente stanco. Stavo fumando più del solito. Un mio amico mi consigliò di andarci piano. Non fui gentile nella risposta. Tra il fumo dell’ennesima sigaretta che soffocava l’aria, non potei non notare un gruppo, o meglio, un quartetto di ragazze che prese posto elegantemente al tavolo di fronte al nostro. Feci di tutto per darmi una svegliata e scrollarmi di dosso quella fiacca che mi appesantiva e cominciai a scrutarle audacemente.


Due di loro non mi piacevano affatto. Con una ci sarei andato a letto volentieri (i miei amici furono d’accordo con me) e la restante non mi convinse nel farmi esprimere un giudizio. Ordinai un’altra birra per metter su quel coraggio che mi è sempre mancato. Non sortì l’effetto sperato. Trovai infantile il fatto di credere che basti bere per fare quello che non si farebbe mai da sobri. L’ho sempre ritenuta una patetica scusa per motivare comportamenti non accettabili.
Volevo esibirmi. Mi alzai e andai dalle ragazze dai vestiti alla moda e dal pettegolezzo facile.

<<Buonasera? Vi disturbo? Posso sedermi?>>.
Una di loro mi disse si. Le altre si lasciarono andare alla decisione dell’amica con più titubanza.
Provai con un tentativo di approccio assurdo. Uno dei tanti .Uno valeva l’altro- pensai.
<<Ragazze, sarebbe bello se rispondeste ad una domanda per un sondaggio che sto facendo>>.
 Una di loro mi sorrise e si mostrò interessata. Le altre si lasciarono andare alla sua decisione. Mi fecero accomodare e attaccai con il mio lungo e insolito quesito.

<<Immaginate di andare in vacanza da sole. Ognuna per conto proprio. Siete nella città che avreste sempre voluto visitare. Siete in ottime forma e molto felici di essere lì. Giù nella hall dell’albergo incrociate una persona che vi piace tantissimo. A pelle sentite che è quella giusta per voi. Un istinto primordiale vi cancella ogni dubbio: vi attrae un sacco. So che è un po’ surreale come situazione, ma cercate di farvi prendere dalle sensazioni. A quel punto vi dice il suo nome, ma non vi lascia alcun recapito. Vi date appuntamento al bar dietro l’angolo per le 17. Salite in camera, vi preparate, e vi recate al posto prestabilito.
Questa persona non c’è.
Passano diversi minuti e non si presenta nessuno. A quel punto che fate?>>.

Cominciarono a guardarsi attorno, si scrutarono a vicenda. Avevano ordinato dei cocktail piuttosto eccentrici. Il vestito di quella che non mi piaceva mi garbava molto. Il taglio dei capelli di quella che mi piaceva non mi soddisfaceva affatto. Cercai di farmelo piacere. Fallii anche questa volta.
Mentre mi accendevo una sigaretta, cominciarono a darmi uno alla volta l’unica e sola ridondante risposta che sento ogni volta che faccio questa domanda:
me ne vado.
 

Logico, plausibile, boriosamente normale, ma è la scelta più gettonata da prendere. Che cosa dovrei aspettarmi? Chissà perché mi illudo sempre che qualcuno possa darmi una risposta diversa da questa. Le guardai con sufficienza e insoddisfazione, ma non se ne accorsero. Cominciai a favorire la digressione e chiesi velocemente i loro nomi. Francesca, Luisa, Rosalba, Caterina; oppure erano: Francesca, Luisa, Rosa e Cristina. Insomma, non li ricordavo allora. Non vedo perché debba sforzarlo di farlo adesso. Se ad un nome non gli si da importanza, non ha per noi un valore, non c’è motivo per cui venga ricordato.

Mi distrassi un attimo per osservare cosa stessero facendo i miei timidi amici e quando mi voltai al tavolo non eravamo più in cinque: una ragazza si era aggiunta senza preavviso, senza renderci partecipi della sua presenza, come se non avesse bisogno di farla valere.
Le altre la salutarono e si dimenticarono presto di me. Sembrava avesse corso, e si fosse affaticata nel farlo. Chiamò in fretta il cameriere, ordinò da bere con la stessa voracità con la quale si era seduta e poi alzò lo sguardo e si degnò di guardarmi. <<Questo ragazzo si è perso? Ha per caso sbagliato tavolo?>> domandò.

<<In realtà, sono venuto qui per…>> mi interruppe <<Non lo chiedevo a te, ma alle mie amiche!>>. Entrai nella gabbia del mio disagio. Le altre si misero a ridere.
Una di loro mi venne in soccorso <<A dire il vero il ragazzo si chiama Giuseppe e ci ha chiesto di rispondere ad una domanda per un sondaggio…>>. Poi ripresi sulla sua falsa riga <<Esattamente! Mi piacerebbe mi rispondessi anche tu. Ma cominciamo con il sapere il tuo nome… >>. Lei mi guardò e non proferì parola. 

Il suo drink arrivò. Si accese una sigaretta. Ringraziò il cameriere e mi disse <<Su… sentiamo di cosa si tratta! Visto che ti abbiamo concesso di rovinarci la serata… >>. Le spiegai quello che avevo detto precedentemente alle sue amiche con più difficoltà e meno enfasi. Lei cominciò a bere il suo drink e nel frattempo fumava lentamente pensando (molto probabilmente) a un modo per sbarazzarsi di me.

<<Non ti rispondo. La mia risposta è che non avrai nessuna risposta. Non vedo perché dovrei dirti la mia>>. Le amiche cominciarono a ridacchiare, ma nello stesso contempo si lasciarono andare a commenti tipo “Su devi solo dare una risposta secca”, “Che ti costa?”, “E’ divertente. Non fare la stronza!”. Esordì con un’amabile digressione sulla sua giornata faticosa, le amiche l’ascoltarono attente e io non avevo più quel piccolo valore che avevo acquisito a quel tavolo. 

Rimasi lì seduto: non volevo perdere nemmeno un centimetro di quella posizione guadagnata. Mi limitai a scrutarle e ad inserirmi nelle loro discussioni, senza particolari pretese. Due di loro mi diedero corda e parlammo un po’. La new entry di quella sera ogni tanto si distraeva a guardarmi. Dopo una buona mezz'ora spense l’ ennesima sigaretta sul posacenere mentre mi lanciò addosso un’occhiataccia. Poi senza esitazioni mi domandò <<Cosa ci fai qui? Cosa vuoi?>>. Mi sentivo più sfrontato del solito e affogato da un insensato bisogno di sfidarla le risposi <<Vorrei venire a letto con te!>>. 

Continuai a fissarla e mi lasciai sfuggire un sorrisino di quelli che stanno antipatici anche a te stesso se dovessi guardarti allo specchio. Le ragazze si lasciarono andare a schiamazzi selvaggi misti tra scherno e sorpresa. Lei rimase impassibile e dopo averci pensato un po’ mi rispose <<Ci vengo, ma ad una condizione: non devi venire mai. Così ti ricorderai per sempre di me!>>. Mi sembrava una frase sentita da qualche film e probabilmente lo era. Ancora quegli schiamazzi inopportuni da parte di quella comitiva sgangherata. Io non sapevo cosa dire e non dissi nulla. A quel punto si alzarono e andarono a pagare. Mi salutarono mentendomi <<E’ stato un piacere conoscerti! Spero di ritrovarti un giorno!>>. 

Poi le vidi allontanarsi. Guardai i miei amici che mi guardarono come a dire <<Beh? Niente?>>. L’orgoglio mi lacerò i tessuti e decisi di rincorrerle. Una volta raggiunte, presi per il braccio la ragazza che, in sostanza, mi aveva rovinato al serata. Allora notai per bene i suoi orecchini a forma di fiore tra la foresta dei suoi capelli. Non aveva rinunciato al suo sguardo fastidioso. 

<<Senti, senti… ovviamente scherzavo prima sul fatto di voler venire a letto con te. Non che possa dispiacermi, anzi…! Comunque potremmo scambiarci i numeri così magari ci sentiamo. Così giusto per… si, insomma se ti va! Non mi hai detto nemmeno il tuo nome>>. Continuò a fissarmi mentre cercava qualcosa in borsa. Prese un bigliettino e ci scrisse qualcosa sopra. Me lo mise in tasca con irruenza, fece un passo indietro mentre guardava le altre e mi lasciò con un eloquente <<Chiamami… mi raccomando!>>. 

Poi le vidi sparire dietro l’angolo di un palazzo costruito negli anni ’70 di quella piazza dimenticata dal tempo. Ero contento. Avevo ottenuto quello che volevo, un qualcosa con cui vantarmi con i miei amici che mi avevano lasciato solo in quella sortita. Tornai verso di loro compiaciuto, ma prima presi il bigliettino e lo aprii. C’era scritto quel che segue:

3478******

M.

La disperazione inondò le mie arterie. Non so ero stato respinto, ma anche umiliato. Il rifiuto è la volontà di una persona a non voler accettare che qualcuno possa interferire con la propria vita. Ma non ho mai dato peso al valore effettivo di quello che un comportamento del genere possa comportare. Non mi ha mai scalfito. Solo che la ragazza dal frenetico e brutale pensiero ci era andata giù pesante con il mio piccolo ego.

Quella sera mi aveva soggiogato due volte. Ma in ogni caso riuscì nel suo intento: mi ricorderò per sempre di lei e un vago senso di nostalgia mi invade ogni volta che la penso. Quella ragazza mi mancava già lì fuori da quel locale messicano dal proprietario di dubbie origini e posso consapevolmente asserire che sento quell'insolita mancanza tutt'ora. Tanto da conservare quel bigliettino privo di informazioni necessarie e colmo di speranze infrante.



1 commento:

  1. Non sono la persona adattaper parlare di relazioni ma forse di rifiuti si.
    insegnano,piu che altro creano dei muri che vanno ad aumentare sempre di piu la timidezza.
    creano un vuoto dentro e mille "perchè" si accavallano, si comincia a pensare di essere sbagliati e di avere qualcosa che non va. Crearsi mille paranoie, quando invece tutto è causato da persone che si credono superiori e si permettono di ferirne altre avendo poco tatti ,se non per niente.
    ma ci sono casi e casi , di solito nei bar o discoteche è normale che si trovi la ragazza facile,quella "bella e stupida" o semplicemente quella che si vuole divertire.
    ma non tutte sono cosi e come i ragazzi possono stentare sicurezza, anche lo ragazze lo fanno .
    ne so abbastanza. Infondo esistono le ragaze da vestitino e tacchi e quelle da jeans e vans. Quando si incontra una che non è sicura e che non crede negli incontri nelle discoteche, per esempio, dove non si puó né parlare né ne vedere bene chi si ha davanti ecco che si ha un rifiuto, ma quello non fa male a nessuno, probabilmente a causa delle luci il ragazzo aveva sbagliato preda.
    alcune non vengono mai messe in ballo e quindi a volte quando gli si da anche un po di importanza si comportano come delle acide perche non sanno che fare.
    come ho detto ci sono casi e casi quindi per non dilungarmi ritorno a quella sera.
    in quel caso io ad esempio avrei risposto perche era solo una domanda e perche si poteva parlare , probabilmente quella ragazza fa parte di quelle molto sicure di se che si permettono anche di burlare il ragazzo lasviano simili bigliettini rispondendo con battute acide(che a volte fanno male)sono quelle che probabilmente stanno bene solo quando fanno le stronze. I rifiuti ci sono sempre ma dipendeda persona a persona .... ci sono tanti casi...ipotizzo solo.

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