La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.
Ho fatto una delle cose più tristi che un giovane
della mia età potesse fare: sono andato ad un concerto praticamente da solo.
Ed è stato bellissimo.
Ed è stato bellissimo.
L’idea era quella di assistere a tutti i costi al
concerto nella mia zona di uno dei miei artisti preferiti, anche se il prezzo
da pagare sarebbe stato quello di andarci da solo. Prezzo che ho pagato ben
volentieri.
Il giorno del concerto ero piuttosto titubante. Da un lato non vedevo l’ora di
ascoltare live il cantautore che è sempre presente nel mio repertorio musicale
portatile e non; dall'altro un insensato senso di ansia e timore stava prendendo in me il sopravvento. Riflettendo, mi resi conto che andare ad un
concerto da solo mi avrebbe portato ad affrontare e a vivere delle situazioni
che in compagnia sarebbero state benissimo evitabili, o quantomeno rese più
gestibili.
Ma per fortuna, la mia capacità di raziocinio venne meno. Quindi indossai le scarpe di tela che spesso mi hanno accompagnato a questi eventi, quelle un po’ ammaccate e vissute, che tua madre butterebbe volentieri nel caso le trovasse lì da qualche parte in giro per casa, quelle che fai di tutto per nasconderle dalle sue grinfie, mi armai di un po’ di insano coraggio, e soprattutto, pensai che non stessi facendo nulla di così eclatante in quanto sicuramente non ero stato l’unico ad aver pensato di fare una cosa simile.
Quella sera partii in largo anticipo e, inserito l’indirizzo sul navigatore,
mantenni una velocità di crociera piuttosto bassa rispetto agli standard in
modo tale da fare più attenzione a non sbagliare strada. Strada che,
inevitabilmente, sbagliai a più riprese.
Durante il tragitto feci tutto quello che si fa di solito prima di andare ad un concerto: si mette il disco dell’artista che si va a sentire e lo si canta allegramente in compagnia; con la differenza che quest’ultima non era a mia disposizione.
Durante il tragitto feci tutto quello che si fa di solito prima di andare ad un concerto: si mette il disco dell’artista che si va a sentire e lo si canta allegramente in compagnia; con la differenza che quest’ultima non era a mia disposizione.
Continuavo a pensare: ma non è il caso che mi faccia indietro? Non è meglio
lasciar perdere e andarci un’altra volta, magari con qualcuno disposto a venire
insieme? Ma man mano che avanzavo e mi avvicinavo al locale, canticchiando
distrattamente per poter seguire al meglio il navigatore, queste paranoie
vennero meno fino a scomparire del tutto. Alla fine conclusi che una volta
arrivato, sarebbe stato ancora più stupido se mi fossi tirato indietro. Più di
quanto non mi sentivo già nel fare tutto questo.
Dopo aver imboccato diverse volte un’uscita sbagliata (c’è da ammettere che il
locale in questione è davvero nascosto e non c’è una strada chiara o delle
indicazioni tali ad agevolarne il compito) arrivo a destinazione. All'ingresso del parcheggio c’è un tizio con la faccia visibilmente annoiata che mi chiede
dei soldi per il parcheggio. Un gesto quasi involontario mi spinse a girarmi
indietro, come se dovessi chiedere di fare la coletta per poter dare l’offerta,
ma mi frenai subito riprendendo la mia lucidità, porgendo due euro al tizio.
Non avrei potuto esimermi da tutto ciò, in quanto se l’avessi fatto, avrei
dovuto affrontare una possibile brutta reazione da parte del brutto ceffo che,
in quanto solo, sarebbe stata difficile da gestire. Parcheggiai con cura l’auto,
mi fermai un secondo per sistemarmi e controllare bene avessi tutto il necessario
e rimasi un altro po’ nella vettura per far caricare il cellulare per un’eccessiva
prudenza.
Superato il parcheggio, salutai velocemente i bodyguard all’ingresso e mi
avviai verso l’interno del locale. Il buttafuori
addetto all’entrata nello spazio antecedente al palco, mi chiese di esibire il
biglietto. Glielo porsi e, mentre ne strappava la parte riservata a loro, con
aria curiosa quanto maliziosa, come se stessi facendo qualcosa di anomalo,
qualcosa di non ordinario, come se fossi in difetto, mi chiese <<Solo?>>.
Feci un cenno con la testa un po’ infastidito dalla sua invadenza. Lui mi
sorrise e mi restituì la restante parte del biglietto.
Una volta entrato, cominciarono a balenarmi in testa diverse domande: adesso
che faccio? Prendo un birra e mi siedo? Aspetto che qualcuno attacchi bottone?
Cosa avrei fatto se non fossi stato solo? Vado direttamente a prendere posto
vicino al palco e faccio finta di niente?
Provai a guardarmi attorno. Cercavo qualcuno che fosse nella mia stessa
situazione. Qualcuno che avvertisse il mio stesso disagio. Ma non vidi nulla di
tutto ciò. Guardai più attentamente, cercando di ambientarmi e fu allora che
tirai un bel sospiro di sollievo: vidi una faccia amica. Mi avvicinai con la
stessa piacevolezza di quando arriva qualcuno che aspettiamo da tempo ad un
appuntamento. Scambiai delle parole voraci, distratte e confuse riguardo il
concerto, il come mai non ci fossimo organizzati per venire assieme. Lui me l’aveva
detto che sarebbe venuto, a me era passato di mente, o forse no. O più
semplicemente non volevo dar rogne a nessuno.
Fatto sta che l’aver trovato qualcuno che condividesse il mio stesso interesse, qualcuno con cui stare, a cui potessi accollarmi, mi diede un enorme sollievo. Col tempo capii che quella mia sensazione di disagio non era dettata dal fatto che dovessi assistere ad un concerto da solo facendo la figura dall'ebete, ma che il motivo di questa mia sottile agonia fosse ancora più profondo e, probabilmente, più banale e patetico. Avevo bisogno di avere un qualcuno sul quale appoggiarmi, a cui fare riferimento nel caso mi accadesse qualcosa di spiacevole. Più semplicemente, pensai che l’aver qualcuno nei paraggi che mi conoscesse, mi faceva stare molto più tranquillo e sereno, facendo si che potessi godermi il concerto con più spensieratezza.
Fatto sta che l’aver trovato qualcuno che condividesse il mio stesso interesse, qualcuno con cui stare, a cui potessi accollarmi, mi diede un enorme sollievo. Col tempo capii che quella mia sensazione di disagio non era dettata dal fatto che dovessi assistere ad un concerto da solo facendo la figura dall'ebete, ma che il motivo di questa mia sottile agonia fosse ancora più profondo e, probabilmente, più banale e patetico. Avevo bisogno di avere un qualcuno sul quale appoggiarmi, a cui fare riferimento nel caso mi accadesse qualcosa di spiacevole. Più semplicemente, pensai che l’aver qualcuno nei paraggi che mi conoscesse, mi faceva stare molto più tranquillo e sereno, facendo si che potessi godermi il concerto con più spensieratezza.
Presi una birra e dopo aver continuato a chiacchierare un altro po’, mi recai
in una sala dove c’era un contest di band emergenti. Pensai che per chi come
loro si prestava a montare e smontare l’attrezzatura, viaggiare in lungo e in
largo per esibirsi, provare e riprovare i brani da eseguire, e tutto ciò che di
faticoso ci sia dietro a quel loro mondo, bisognava avere una forte passione nei
confronti della musica. La stessa, più in generale, passione (follia) che aveva
spinto me a fare di tutto per esserci a quel concerto.
Mi venne in mente un passaggio del saggio “Elogio alla follia” di
Erasmo da Rotterdam che riporto qui di seguito:
-Osservate con quanta previdenza la
natura madre del genere umano ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di
follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno
triste. Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza la
vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri, dissennati,
godrebbero felici di un'eterna
giovinezza-
Rileggendo adesso questo tratto, riesco a dare "un'immagine” a queste
parole. Come se mi fossero tutte molto più chiare. Sostanzialmente, a piedi di
quel palco dove si stavano esibendo quei ragazzi con la loro musica che
facevano di tutto per piacere a qualcuno di importante, pensai che non avrei
mai fatto tutti gli sforzi che avevano compiuto, per esibirmi quei scarsi venti
minuti a loro concessi, ma che, con tutta probabilità, loro non farebbero mai
tutti gli sforzi che faccio io per fare quello che più mi piace e così via.
Ognuno, mosso da un irrefrenabile passione personale e soggettiva, compie determinate
azioni che nessun altro al posto suo farebbe. Ma è importante che si compiano,
che ognuno faccia quello che vuole seguendo le proprie passioni.
Mi spostai nella sala dove si sarebbe svolto il concerto. Ero lì ed ero
contento di esserci. D’un tratto tutti i pensieri cupi che mi assalirono nei
momenti antecedenti, svanirono. L’artista fece il suo ingresso e cominciò a
condividere la sua musica. La sala non era pienissima. A dirla tutta non c’era
molta gente. Non quanto ci si possa aspettare ad un concerto in una sala di una
portata del genere, ma fu particolare e intrigante anche per questo. Come se
grazie ai “pochi” fan accorsi, l’atmosfera acquisisse quel nonché di intimo che
non guastò per niente l’ambiente circostante. Anzi, che contribuì a
migliorarlo, a renderlo più autentico.
La mia attenzione fu attratta da due innamorati di fianco a me. Si
stringevano amabilmente mentre cantavano e si lasciavano andare a lunghi baci
gentili e indiscreti. Erano due bellissime ragazze.
Più in là, c’era una coppia difficile da non notare. Lui era altissimo, lei di un
altezza normale. Mentre lui faceva di tutto per andare a tempo e non saltare
nemmeno una parola tenendo la sua partner stretta a sé, lei era visibilmente
provata. Le lacrime di gioia, emozione, intrinseche dei pensieri che le
scaturivano, riuscirono a farmi impressionare. Non che fosse inusuale piangere
ad un concerto, ma il modo in cui lo faceva, quel volto trasudato di
sentimento, scaturiva in me un particolare tipo di commozione che con molta
difficoltà dimenticherò.
Il concerto proseguì alla grande. “Reagisce bene il mio sistema emozionale” si
sentiva cantare dagli spalti. Benché tutto fece pensare ad un’affermazione, io
me la posi come domanda. Intorno a me, e con me, c’era gente che provava delle
emozioni, probabilmente le stesse che provavo io, seppur in maniera differente
con diverse tonalità e sfumature, nell'ascoltare la propria musica preferita.
Avanti, dietro, di fianco e con me c’era gente che era accorsa lì per lo stesso
motivo per il quale c’ero anch'io. Ascoltavo la musica che tanto mi piaceva e
mi lasciavo andare alle sensazioni che ne scaturiva.
In quella sala, in quel preciso momento, c'ero io, c'erano loro, era presente la mia musica e tutta quella particolare intimità che si era creata.
Ad un tratto, non mi sentivo più poi così tanto solo.
In quella sala, in quel preciso momento, c'ero io, c'erano loro, era presente la mia musica e tutta quella particolare intimità che si era creata.
Ad un tratto, non mi sentivo più poi così tanto solo.
Copertina dell'album "Un Meraviglio Declino" di Colapesce |
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Alcune volte ci sentiamo protetti dalla presenza di amici tanto che quando non ci sono ci crolla un muro e ci sentiamo spogli, arrivando alcune volte a rifiutarci di uscire senza loro, proprio perché tra sconosciuti non ci si sente a proprio agio e non ci si gode tranquillamente dei momenti.
RispondiEliminaÈ bello buttarsi e provare a fare cose che con gli amici non si farebbero, per provare, alla fine è un modo per sperimentare e conoscere volti nuovi.
Delle volte quando immaginiamo un’uscita con gli amici pensiamo vada bene e magari alla fine non è per niente come ci aspettavamo, anzi molto deludente, invece quando dobbiamo provare qualcosa di nuovo non è mai quello che ci si aspetta e la maggior parte delle volte passiamo dei momenti belli. Personalmente sull’osare devo ancora lavorarci, per tante cose che succedono oggi non mi sento tranquilla a uscire da sola, sembrerà stupido ma devo tenerne conto. Vorrei tanto liberarmi dall’ansia dalle mie aspettative dai film mentali che mi faccio per poi non rimanerci male, ma purtroppo la mia vita non è un film e sarà molto difficile trovare le persone giuste con cui condividere passioni e il proprio carattere, stando a proprio agio, senza passare per cretini.